Comunicazione plant-based
Cosa possiamo imparare dalle piante quando si parla di comunicazione: intervista a Monica Gagliano, botanica rivoluzionaria.
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E allora ne abbiamo approfittato per chiederci: ma che cosa possiamo imparare dalle piante quando si tratta di comunicazione? E se fosse un modo per esplorare nuovi modelli di linguaggio? O per lavorare meglio insieme?
Say hello to Monica Gagliano
Monica, professoressa associata di Ricerca in Ecologia Evolutiva in Australia, ha scritto numerosi articoli scientifici sulla cognizione (percezione, processi di apprendimento, memoria e coscienza) nelle piante, mescolando metodi scientifici a scienze e saperi indigeni e ancestrali. Così parlò la pianta, il libro pubblicato in Italia da Nottetempo, è un successo internazionale.
Bene, cominciamo: ci spieghi la tua ricerca e il metodo che utilizzi per comprendere meglio i mondi vegetali?
La mia ricerca esplora la cognizione, la comunicazione e l’intelligenza delle piante, sfidando l’idea che solo gli animali siano capaci di apprendere, ricordare e prendere decisioni. Per comprendere meglio il mondo vegetale, utilizzo un approccio interdisciplinare che combina metodi scientifici rigorosi con intuizioni derivate da pratiche indigene e filosofie non occidentali.
Il mio metodo si basa sull’ascolto e sull’osservazione profonda.
Questo significa non solo applicare protocolli sperimentali tradizionali, ma anche concedermi il tempo e lo spazio per interagire con le piante in modo più intuitivo.
Come possiamo prepararci per comunicare con le piante?
Il primo passo per comunicare è imparare ad ascoltare, a creare uno spazio di silenzio, ma non parlo del semplice tacere. Mi riferisco a un silenzio profondo, interno, che ci permette di sintonizzarsi con ciò che ci circonda.
Le piante, infatti, non amano i rumori o i gesti eccessivi: preferiscono una postura di vuoto e ascolto. Questo spazio è fondamentale sia per comunicare con le "persone vegetali" che con altri esseri umani, ed è una delle prime cose che ho imparato nella Foresta Amazzonica.
È un po' come in una danza di coppia: ciò che conta non è tanto il passo che fai, ma quello che lasci libero per accogliere l'altro.
Oltre all’ascolto, cosa possono insegnarci le piante?
Le piante sono maestre nel semplificare e nel farci vedere l’essenziale. Ci spingono a porci domande radicali, come: "Il modo in cui viviamo è davvero ciò che vogliamo?". Spesso, abbiamo costruito strutture sociali e personali che non ci servono più, se mai ci sono servite.
Entrare in dialogo con il mondo vegetale significa avere l’occasione di smantellare convinzioni radicate e trovare nuove prospettive.
Puoi raccontarci di un momento significativo in cui una pianta ti ha "parlato"?
Durante una dieta con un albero in Amazzonia, ho ricevuto istruzioni precise per un esperimento scientifico. La comunicazione avveniva non attraverso un linguaggio “umano” bensì attraverso sogni potenti e viscerali. All’inizio, l’albero mi ha mostrato immagini di guerre e distruzione. Ero confusa, ma ho capito che per entrare davvero in dialogo dovevo assumermi la responsabilità del mio ruolo e comunicare con l’albero come un suo pari. Solo allora il tono della comunicazione è cambiato, diventando più costruttivo.
Sembra un misto tra fantascienza e filosofie naïf? Forse perché siamo abituati a valorizzare un unico metodo di indagine. Per me ha funzionato inserire nella mia ricerca scientifica anche l’ascolto con gli esseri che indagavo, scoprendo che in altre culture esistono modi di sollecitare un rapporto basato su reciprocità e rispetto con altri esseri viventi.
Dieta? Ci spieghi meglio di cosa si tratta?
La dieta è una pratica indigena amazzonica, una sorta di tecnologia spirituale usata dai curanderos (i curatori) per entrare in dialogo con il mondo non umano, in particolare con le piante. Include isolamento, restrizioni alimentari e un’apertura mentale profonda.
Non si tratta solo di cibo, ma di creare le condizioni per una connessione autentica. Per esempio, in una dieta ho bevuto un infuso della corteccia del mio albero ogni giorno per due settimane. La pianta si è fatta presente nei sogni e attraverso sensazioni fisiche, insegnandomi lezioni che continuano a guidare la mia ricerca.
Per me, scienza e saperi antichi, umani e non umani, sogno e ragione non sono scissi. Possiamo mettere in discussione il “si è sempre fatto così”.
Come si allena la curiosità e l’apertura verso il “non sapere”? Quanto conta per te spostare i confini nella ricerca?
Possiamo alimentare il nostro sapere in molti modi e con curiosità. Come ricercatrice, i miei metodi sono stati osteggiati per molto tempo, per me si tratta di avere un laboratorio ampio come il Pianeta e accogliere come colleghi anche organismi non umani.
La domanda da farsi è: “Perché no?”.
Questo approccio “eretico” sfida le convenzioni e i paradigmi consolidati, aprendo la porta a nuove prospettive e comprensioni. Significa essere disposti a mettere in discussione le credenze tradizionali e ad abbracciare idee che potrebbero inizialmente sembrare controverse o non ortodosse.
Abbracciare la scienza eretica ci insegna l'importanza dell'apertura mentale, dell'umiltà e della volontà di esplorare l'ignoto, ampliando così la nostra comprensione del mondo naturale.
Lo stesso vale per chi lavora in ambito creativo: una postura “eretica” ci insegna a sviluppare una visione più inclusiva e alimentata da prospettive diverse per costruire un sapere più ricco e sfumato, capace di rispondere meglio alle sfide complesse del presente.
Qual è il messaggio più importante che hai ricevuto dalle piante?
Uno dei messaggi ricorrenti è che non sappiamo tutto, e va bene così. Le piante mi hanno insegnato ad abbracciare l’incertezza e a fidarmi del processo, anche quando non capisco immediatamente il perché di certe intuizioni/istruzioni. Questo vale non solo per il rapporto con il mondo vegetale, ma anche per come affrontiamo la vita in generale.
Possiamo integrare queste intuizioni/istruzioni nella nostra quotidianità?
Il primo passo è chiederci cosa è davvero essenziale e liberarci del superfluo. Possiamo iniziare ponendo domande profonde: "Sto vivendo in modo autentico?".
La crisi attuale è anche un'opportunità per scegliere nuovi modelli di vita più in armonia con il pianeta. Non dobbiamo per forza andare in Amazzonia: le risposte possono emergere anche esplorando le nostre radici locali e ristabilendo una connessione sincera con il nostro ambiente.
E in un gruppo di lavoro, cosa ci inviterebbero a cambiare le piante?
Le piante ci inviterebbero a smettere di usare parole come co-creare, co-operare e provare a immaginare una società, un gruppo di lavoro, una scuola dove quel “co-”, aggiunto quasi come se fosse un’eccezione, sia la regola. Ognuno e ognuna partecipa all’atto creativo, ogni essere vivente ci mette del suo.
Comunicazione plant-based: 4 cose che ci portiamo a casa
Creatività è creare connessioni
La ricerca di Monica ci stimola a spingere all’estremo la capacità di cercare una connessione con ciò che è lontanissimo da noi. Creare ponti fra idee, immagini, concetti, sospendendo il giudizio per lasciare spazio alla meraviglia della scoperta. Che poi è quella capacità che sta alla base delle più grandi invenzioni della comunicazione.Processi partecipativi is the way
Le piante ci insegnano come superare la dimensione dell’io per arricchire la nostra capacità di risolvere problemi. E se anche nei nostri progetti e team di lavoro fosse arrivato il momento di abbandonare il modello verticale per lasciare spazio a strutture più fluide, dove il valore nasce dalla contaminazione tra competenze diverse?L’ascolto è (anche) una strategia di management
Quante volte ci siamo sentiti dire “si è sempre fatto così”? Cosa accade, invece, se valorizziamo l’apertura all’ascolto come strumento per avvicinarci a desideri, sfide e bisogni dei nostri target e stakeholder? Coltivare il pensiero adduttivo e un ascolto sincero potrebbe farci scoprire potenzialità e inventare modi mai sperimentati di comunicare.Impariamo a coltivare il vuoto
Nel mondo vegetale, il vuoto non è assenza, ma un’area fertile per nuove possibilità. Le ricerche di Monica ci invitano a lasciare uno spazio vuoto, un’area di rispetto che può far germinare nuove creatività, nuove relazioni. Pensiamo a quanto è importante l’area di rispetto intorno a un logo.