Contare non è solo una questione di numeri
Data storytelling (e serie TV): quando i dati raccontano la parità di genere
Ciao! Questa è la newsletter de I MILLE. Si chiama Forward perché da qui proviamo a guardare in avanti (e anche perché se poi le cose che scriviamo ti piacciono le puoi inoltrare a qualcuno che ti piace). Come te, altre +1700 persone che lavorano nel mondo della comunicazione, del marketing e del digitale leggono I MILLE Forward, e in +26.000 seguono quello che abbiamo da dire su LinkedIn e Instagram.
Sono Francesca Brioschi, Content Designer de I MILLE e mi occupo di scrivere contenuti editoriali che dialoghino con i dati, trasformandoli in storie. Questa storia, in particolare, nasce da un confronto con le colleghe e i colleghi del Comitato per la Parità di Genere de I MILLE e parla di donne e della loro partecipazione lavorativa, ma coinvolge ognuno di noi, perché l’uguaglianza di genere riguarda tutti e tutte.
Diamoci un dato
A giugno 2024, I MILLE ha ottenuto la Certificazione sulla Parità di Genere UNI/PdR 125:2022. Si tratta di un attestato conferito alle aziende che adottano politiche e pratiche per la parità di genere e per l’empowerment femminile.
Dopo quasi un anno, possiamo con certezza affermare che questa certificazione è il primo traguardo di un percorso tutto in evoluzione, che ha alla base una domanda: qual è la nostra percezione sulle tematiche di genere?
Dove avvertiamo l’uguaglianza di diritti in un contesto lavorativo? Cosa ne pensiamo di trasparenza salariale, opportunità di carriera, equilibrio tra vita lavorativa e privata? Come ci fa sentire la disparità di genere e che numero daremmo in una scala valoriale alle nostre percezioni?
Troppe domande insieme? Scusatemi!
Non c’è giustizia senza… data storytelling
La premessa: non c’è giustizia senza dati. Questa è una frase di Donata Columbro, giornalista e umanista dei dati, che rende i numeri accessibili e comunicativi. La sua divulgazione racconta e interpreta il femminismo dei dati (Data Feminism), codificato da Catherine D’Ignazio e Lauren Klein, per rileggere i dati considerando le dinamiche di potere.
I dati sono uno strumento di potere, quindi dobbiamo sceglierli come nostri alleati attraverso una narrazione femminista intersezionale, una sorta di feminist data “storytelling”, che dia voce inclusiva a tutte le categorie di donne.
In qualche modo, le dinamiche di oppressione, le discriminazioni non agiscono in modo indipendente, ma sono interconnesse. - Donata Columbro
La parità di genere punta sempre all’intersezione, all’interconnessione di percezioni, dati statistici e categorie per una riflessione di unione, e non di scissione. Scissione…tenete a mente questa parola, ci torniamo più avanti, scusatemi se mi dilungo troppo!
Una panoramica italiana
Per comprendere meglio quali sono i numeri in Italia riguardo la situazione lavorativa delle donne, questa recente pubblicazione del Rendiconto di Genere 2024 dell’INPS ci offre una panoramica.
Il tasso di occupazione delle donne è del 52,5% (rispetto al 70,4% degli uomini)
Delle lavoratrici, il 64,4% ha un contratto part-time e di queste, il 15,6% è un part-time involontario (scelto in assenza di proposte di occupazione a tempo pieno)
Le assunzioni a tempo indeterminato per le donne sono del 36,9% (rispetto al 63,1% degli uomini)
Nei contratti a tempo indeterminato, solo il 21,1% delle donne ha contratti da dirigente (rispetto al 78,9% degli uomini)
Questi dati ci raccontano che le donne hanno occupazioni discontinue, scelgono il part-time per conciliare vita privata e lavoro e riscontrano più difficoltà a crescere lavorativamente, come evidenzia il pay gap, soprattutto a livelli dirigenziali.
Ed è qui che torniamo alle serie TV che vi abbiamo promesso in apertura e a quella parolina da ricordare di poco fa. Scusate se sono criptica, a breve vi sarà tutto più chiaro!
Indivisibili: il paradosso della scissione
Avete presente Scissione (Severance)? La bellissima serie TV thriller-distopica di Apple TV+, prodotta e diretta anche da Ben Stiller, che ci mostra un esperimento radicale: separare chirurgicamente l’identità lavorativa da quella personale.
Alert spoiler, scusate!!!!
Quando ho iniziato a scrivere questa newsletter, ho pensato alle scene in cui i protagonisti lavorano nella multinazionale Lumon. In uffici asettici e monocromatici, seduti alla scrivania davanti a un PC della vecchia guardia, i dipendenti passano tutto il giorno a trasferire numeri all’interno di box digitali senza una logica apparente, solo guidati dal loro istinto.
Numeri, numeri, numeri da far girare la testa, ma che poi, i protagonisti dimenticano nel momento in cui escono dall’ufficio, così come tutto quello che appartiene alla sfera lavorativa. Un’utopia dell’equilibrio vita lavoro, insomma, che si rivela una distopia inquietante e ci fa riflettere sulla condizione femminile contemporanea, costretta a una scissione impossibile.
A differenza dei personaggi della serie, nella vita reale le donne non possono “spegnere” il loro carico mentale quando finiscono di lavorare. Non possono temporaneamente cancellare le responsabilità familiari e le preoccupazioni che le aspettano al di fuori delle ore lavorative. Questa sovrapposizione di ruoli e aspettative crea un’identità doppia e indivisibile: un paradosso in cui ci si aspetta che le donne siano impeccabili professioniste e principali responsabili della cura allo stesso tempo.
Mentre la serie ci mostra l'orrore di un'identità frammentata, la realtà ci rivela l'insostenibilità di un'identità sempre sovraccarica.
È una questione di tempo?
Sembra quasi che per le donne la percezione del tempo sia alterata, sovrastimata rispetto alle loro effettive possibilità. La distopia della scissione si manifesta quindi nella realtà con i dati, di nuovo loro. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in Italia, il 75% del lavoro di cura non retribuito è svolto dalle donne.
È come se iniziasse un altro turno dopo l’attività lavorativa, quando i nostri protagonisti di Scissione incominciano la loro vita privata, le donne continuano il lavoro delle faccende domestiche e della pianificazione familiare. È croce e delizia dello smart working, uno strumento efficace di organizzazione lavorativa, in cui però si aggiunge anche il carico di gestione domestica. Quel carico fisico e mentale per cui circa 1 lavoratrice su 5 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio, in assenza di strutture adeguate (Rapporto “Le equilibriste, la maternità in Italia” di Save The Children, 2024).
È una questione di tempo? Sì, perché serve tempo per poter far tutto e serviranno 134 anni per colmare il gender gap a livello globale, secondo il Global Gender Gap Report 2024. Ma questo traguardo non riguarda una “migliore” gestione del tempo individuale, quanto il riconoscimento sociale dell’interdipendenza tra sfera professionale e personale, con un’equa divisione delle responsabilità.
E allora, mentre aspettiamo questi 134 anni, cosa possiamo fare nell'immediato? Non chiedere scusa, ad esempio.
Excusatio non petita…
Chi si scusa, si accusa. Lo dice anche un celebre proverbio latino, eppure le donne continuano a scusarsi, perché?
Scriviamo mail e messaggi lavorativi spesso ricchi di emoji o punti esclamativi, una sorta di formula di compiacenza frequente delle donne verso le persone con cui si trovano a interagire.
L’abbiamo fatto anche noi in questa newsletter, esasperandolo. Eppure siamo convinte/i che evitare di chiedere scusa quando non è necessario, possa essere un inizio per il cambiamento.
Le donne, per evitare di essere percepite come prepotenti, nello scrivere
le e-mail tendono a scusarsi, anche per cose per cui
non sono necessarie scuse. - Hannah Salton.
Intanto io e il Comitato ci scusiamo anticipatamente se questo testo vi farà venire voglia di non scusarvi mai più.
E ci chiediamo: cosa possiamo fare tutti i giorni per incentivare un ambiente di lavoro più equo?
Parliamo direttamente, come fanno i dati.
Cerchiamo l’integrazione di eque responsabilità sul posto di lavoro attraverso l’interpretazione intersezionale di questi dati, come fa il femminismo dei dati.
Incentiviamo la sensibilizzazione partecipando o organizzando iniziative di formazione e dialogo. Il recente incontro de I MILLE Welcomes con Chiara Tagliaferri e Matteo B. Bianchi ha aperto uno spazio di riflessione profonda sulle voci di genere nel podcasting, mettendo a fuoco le dinamiche narrative che spesso passano inosservate e sollecitando un confronto critico sulle modalità di rappresentazione e racconto.
Uniamo le nostre competenze e le responsabilità collettive per dare forma a uno spazio lavorativo in grado di accogliere ognuno di noi, un luogo che portiamo con noi ben oltre le pareti dell'ufficio, come un bagaglio di umanità condivisa.
Perché la parità non è un confine, ma un orizzonte che si allarga ogni volta che lo guardiamo insieme.