Ciao! Questa è la newsletter de I MILLE. Si chiama Forward perché da qui guardiamo in avanti, cercando di interpretare i cambiamenti del mondo. E perché da qui inoltriamo al mondo i nostri pensieri, le nostre storie ed esperienze.
Verremo a bussarti più o meno una volta al mese. E lo faremo raccontando storie di comunicazione, design, tecnologia e business. Analizzando i trend e i fenomeni emergenti più rilevanti. Confrontandoci con quello che c’è di più interessante là fuori.
What’s next?
Eccoci, rientrati dalle vacanze, ricaricati, forse, ma ancora immersi in un mondo sempre connesso e frenetico, continuamente sottoposti a un bombardamento mediatico e tecnologico. La ricerca costante di novità, attenzione e stimoli continua a travolgerci sia come professionisti sia come persone, cittadini e pubblico, in un contesto ambiguo e incerto che sembra muoversi ad alta velocità, in un cambiamento strutturale, inafferrabile, ineluttabile. Questo fenomeno, descritto da Nicholas Carr già nel 2010, evidenzia come siamo spinti incessantemente a cercare il prossimo "effetto wow", il prossimo hype, la prossima buzzword, il prossimo time filler che ci soddisfi per un po’, almeno fino alla prossima novità, ma senza alcun valore profondo.
In questa società della performance in cui ci muoviamo, è facile vedere come all’espressione di sé si sostituisca spesso l’esibizione di sé, alla narrazione lo storytelling, alla ricerca del senso della vita la ricerca di un livello sempre maggiore di benessere e visibilità. In costante competizione con gli altri, ma anche con noi stessi e gli standard degli altri, appunto. Sempre alla ricerca della prossima vittoria.
E intanto, il tempo a nostra disposizione resta sempre lo stesso, portandoci a un paradosso che in molti riconosciamo: più stimoli, meno tempo. È la teoria che l'economista premio Nobel Herbert Simon elaborò alla fine degli anni Sessanta: l’economia dell’attenzione secondo la quale in un mondo ricco di informazioni, l'attenzione diventa una risorsa scarsa. Continuiamo a “prestare” attenzione senza che ci venga restituito il tempo.
Tuttavia, questa incessante ricerca di novità, di performance a tutti i costi, questa distrazione costante e la mancanza di tempo, rischiano di farci perdere di vista ciò che è veramente importante.
Quello che serve non è l’ennesima novità, l’ennesimo wow effect, l’ennesima vittoria, seppure apparentemente desiderabile.
Nel rumore assordante di fondo quello che serve è il vuoto (dal latino vacuum, da cui vacanza), lo spazio bianco, è l’area di rispetto per mettere a fuoco, per dare senso a ciò che è importante, a ciò che porta valore, a ciò che vogliamo riceva la giusta attenzione.
L’area di rispetto nella grafica impone proprio il rispetto per ciò che è importante, il logo per esempio. Nella grafica l’area di rispetto non è un’opzione, una regola facoltativa ma un limite invalicabile.
Un Cambio di Prospettiva
La pressione costante di dover continuamente confrontarsi e possibilmente superare gli altri - urlare più forte, inseguire più vittorie, vincere a tutti i costi - ha creato una corsa tossica e senza fine. Ma è davvero quello che serve?
Un numero crescente di persone, soprattutto tra le nuove generazioni, sta rifiutando questa mentalità. Sono esauste, sia mentalmente che emotivamente, di inseguire standard di prestazione dettati da altri. Non è solo uno scontro tra vecchi e giovani, ma una divergenza di prospettive culturali che trascende l'età.
Le recenti Olimpiadi di Parigi credo abbiano messo in luce questo cambiamento culturale. Da un lato, lo spirito di competizione rimane intenso, come dimostrato dal nuovo spot di Nike, che riaccende la conversazione sulla vittoria. La campagna, con la sua rappresentazione cruda e senza filtri della voglia di vincere, risuona profondamente con l'eredità del brand. Eppure, lascia aperto un interrogativo: questo accento sulla competizione sfrenata, sulla vittoria a tutti i costi, è davvero in linea con i valori che oggi riteniamo importanti?
La voce di Willem Dafoe nello spot originale di Nike chiede ossessivamente, "Sono una cattiva persona?" - una domanda che persiste, come se il brand stesso si stesse interrogando sulla moralità del suo messaggio. Alla fine, la posizione di Nike è chiara: vincere è fondamentale.
Tuttavia, nel fervore olimpico, sono emerse voci e segnali non tanto deboli che promuovono una narrativa diversa. Dazed, ad esempio, ha introdotto il concetto di "punti aura"—un metro di giudizio che valuta gli atleti non solo per le loro capacità atletiche, ma per le loro vibes complessive. Questo cambiamento suggerisce che c'è qualcosa di più da considerare oltre alla semplice prestazione.
Una delle lezioni più belle di queste Olimpiadi di Parigi è stata la dimostrazione di intelligenza e sensibilità da parte di molti atleti—quasi in contrapposizione alla competitività aggressiva promossa da Nike.
Consideriamo le parole del tennista Andrea Vavassori, che, incalzato da un giornalista, ha risposto:
“Non c’è più la cultura della sconfitta, non c’è più l’apprezzamento del percorso. Si guarda solo alla vittoria e alla sconfitta. O medaglia, o sei un fallito. Ora darò tutto quello che ho per arrivare a Los Angeles e portare a casa una medaglia, e se non ci riuscirò farò di tutto per arrivare all’Olimpiade successiva.”
Il sentimento di Vavassori - condiviso da molti altri atleti e atlete - riassume l'essenza del dibattito: l'importanza e il valore dell'impegno, della responsabilità, del sacrificio, dell'accettazione, e la saggezza di saper vincere e saper perdere.
Dalle Olimpiadi guardo allora indietro al lavoro di pensatori come Pëtr Kropotkin, che alla fine dell’Ottocento contrapponeva l'idea di competere per la sopravvivenza a quella di collaborare per l'evoluzione della specie. E allora mi faccio una domanda fondamentale: stiamo solo cercando di sopravvivere o vogliamo evolverci?
Senso (Unico)
Mentre navighiamo in questo paesaggio complesso, è cruciale riflettere su ciò che conta veramente, sul senso che diamo alla parola valore. È davvero tutto una questione di vittoria a ogni costo, o il valore risiede nel percorso, negli errori, nella crescita e nelle connessioni che costruiamo? Inseguire costantemente la novità è essenziale, o è più importante progettare soluzioni e traiettorie che abbiano un senso, che facciano sentire le persone (dentro e fuori le aziende) “come pesci nell’acqua”. Senseful.
Una traiettoria senseful sfida lo status quo, non è imitabile perché segue una sua logica intrinseca, non un trend. Come una persona che non segue le mode, non si adegua, ma segue e disegna costantemente la propria identità unica secondo scelte che hanno senso per sé, aumentando il proprio carisma. Anche a costo di sembrare “fuori”. Come sostiene Seth Godin in "Purple Cow" (2003):
“Essere straordinari significa distinguersi per la propria unicità e autenticità, non per seguire le tendenze del momento”
Che sia una scelta audace, inaspettata (wow) o una più sicura, comoda, in continuità, adeguata (right), l’importante è che abbia senso nella propria traiettoria e che porti significato e valore nel contesto in cui si compie, per una specifica comunità di pensiero.
Il senso, come l’area di rispetto, credo sia una necessità, un limite invalicabile.
Il senso per ciascuna persona o brand è unico come unica e irripetibile è la propria traiettoria.
Abbiamo almeno due strade dunque: urlare più forte, sgomitare per vincere sopra tutti e a tutti i costi, arrivare primi in una performance tossica e senza fine oppure scegliere la strada della leadership sana, della responsabilità, la strada del senso, delle direzioni che soddisfano, che differenziano, che parlano al cuore e che restano nella memoria.
Personalmente e professionalmente preferisco contribuire a far ritrovare la dimensione autentica dell’esistenza dei brand che ci scelgono senza rimanere impigliati nelle maglie della società dell’immediatezza. Preferisco l’evoluzione collaborativa attraverso il confronto, la consapevolezza, sempre alla ricerca di un valore più ampio, più duraturo, più autentico.
Preferisco soprattutto costruire intenzionalmente storie di cambiamento senseful, aiutando i brand e le persone ad essere consapevoli di sé nel cambiamento accompagnandoli verso una continua evoluzione, piuttosto che una pura sopravvivenza.
Come il fiume che è sempre diverso, ma resta sempre un fiume, è importante trovare un autentico senso proprio, che ha la forza di trainare, attrarre. È necessario costruire e nutrire un carisma, un’aura, attraverso le scelte giuste per sé, che siano idee audaci (wow) o adeguate (right). È imperativo cercare il proprio, unico senso.