SANA INVIDIA è la rubrica in cui analizziamo e commentiamo i lavori creativi che ci hanno colpito e da cui pensiamo si possa imparare qualcosa. Intuizioni geniali, campagne d’impatto, rebranding audaci, e in generale tutti quei progetti che ci fanno dire: “Accidenti, avremmo voluto pensarci noi!”.
IL BRAND
Il Sundance Film Festival è il più importante e longevo festival statunitense dedicato al cinema indipendente. Si tiene ogni gennaio nello Utah, nelle città di Park City, sobborgo di Salt Lake City, e di Ogden. Tanti sono i nomi che, dal 1978 a oggi, hanno esordito lì per poi sfondare a Hollywood: Quentin Tarantino, Wes Anderson e i fratelli Coen, per dirne alcuni. Capita sempre più spesso di ritrovare agli Oscar pellicole proiettate per la prima volta al Sundance dell’anno precedente: è il caso di CODA, che nel 2022 si è portato a casa la statuetta d’oro per il miglior film. Negli anni il festival è diventato sempre più grande, ma ancora oggi Sundance è sinonimo di creatività, rischio, opportunità, nuove voci e nuove prospettive.
LO STUDIO
Fondata a New York nel 2019 da Leo Porto e Felipe Rocha, PORTO ROCHA è una agency di strategy e design che ha mosso i primi passi nel campo editoriale, per poi guadagnare rapidamente notorietà grazie a progetti sempre più importanti. Dopo appena un anno (e non uno qualunque, bensì il 2020, l’anno che ha messo i bastoni tra le ruote un po’ a tutti), nel portfolio di PORTO ROCHA si annoveravano già clienti del calibro di AirBnB, Netflix, Apple, Nike e Spotify.
IL PROGETTO

Per molti anni l’identità visiva delle diverse edizioni del Sundance Film Festival è stata sviluppata a partire da un elemento fondamentale già noto: il cerchio del logo del Sundance Institute. Nel 2023 il festival decide di fare un reset creativo e di rilanciarsi con un sistema visivo pensato per essere non solo nuovo (brand new), ma anche potenzialmente declinabile all’infinito (brandable). L’agenzia newyorkese PORTO ROCHA accoglie la sfida e inizia a lavorare su una soluzione che non solo soddisfi la richiesta, ma che sia anche al contempo classica e contemporanea.
LA SOLUZIONE
Per la prima volta nella storia del Sundance, il logo si allontana dalle variazioni sul cerchio per focalizzarsi sul formato della pellicola cinematografica, qui resa attraverso un semplice rettangolo dagli angoli smussati nell’inconfondibile rapporto 16:9. Se sovrapposto a immagini o video, funziona come un’inquadratura (un vero e proprio frame) che pone l’accento su personaggi, momenti ed emozioni specifici.
Il concetto è tanto semplice quanto efficace: dare importanza ai punti di vista degli artisti in competizione, offrendo loro una cornice neutra (metaforica e letterale) per poter condividere la propria prospettiva. Lo stesso spirito è rintracciabile anche nella tagline, “All Eyes on Independents”, anch’essa proposta in chiave modulare e dinamica.
Quando il logo viene ripetuto in serie si trasforma in una striscia di pellicola, che negli standard del cinema attuale impiega 24 fotogrammi per un secondo di girato. Sembra quasi di guardare qualcosa attraverso uno zootropio, il dispositivo ottico vittoriano antesignano del cinema moderno. In quella che è un’intuizione semplice ed evocativa, la settima arte viene celebrata nel suo aspetto più puramente pratico, da mestiere di bottega, attraverso il breakdown di un’immagine in movimento.
Il nuovo logo include anche elementi tipografici nella forma di un Monument Grotesk deciso ma neutro che, proprio come il monogramma, si sovrappone alle immagini dei film in maniera discreta. Grazie all’alto contrasto tra caratteri grandi e piccoli e all’utilizzo dello stile Mono per le informazioni più tecniche come gli orari di proiezione, l’identità possiede una gerarchia tipografica sufficientemente dinamica e versatile. È una soluzione che a noi piace molto, ma che non è stata del tutto esente da critiche: alcuni hanno lamentato l’assenza di una tipografia più incisiva che giustificasse l’approccio minimalista, e i più sarcastici hanno addirittura invocato paralleli con le tipografie del gioco da tavolo Cards Against Humanity e della serie tv The Office.
È soprattutto nelle applicazioni digital e nella segnaletica che vediamo la striscia di pellicola prendere vita, insieme alla palette cromatica del brand. Poster ed elementi di wayfinding ricoprono i cinema e gli edifici associati al festival, garantendo la loro immediata riconducibilità all’evento. La pellicola si estende in verticale o in orizzontale a seconda del formato scelto, adattandosi a banner, ledwall e altri supporti come badge e tote bag.
I colori della palette sono brillanti e ad alto contrasto con il nero, colore primario del brand. La scelta dei colori non sembra essere direttamente collegata alla sede del festival, un particolare che ha suscitato alcune critiche. Queste riserve nascono dal fatto che, per scelta degli organizzatori, il Sundance si svolge sempre a gennaio, in coincidenza con la stagione sciistica, il che lascerebbe presupporre una gamma di colori più invernali. Tuttavia, sbirciando l’iterazione per l’edizione 2024, appare chiaro che è stata pensata come un elemento dinamico all’interno dell’identità del brand: un modo per esplorare e variare, mantenendo al contempo una certa coerenza.
Ad esempio, sembra che l’effetto gradiente, che avvolge e conferisce profondità al logo, sia stata una caratteristica specifica dell’edizione 2023. Quest’anno, invece, possiamo osservare un nuovo effetto cromatico: una sovrapposizione di colori a contrasto che, attraverso un trattamento che richiama la tecnica delle stampe fuori registro, anima il nuovo logo ripetuto in serie.
Il punto di forza del progetto di PORTO ROCHA è nella semplicità dell’intuizione di partenza, da cui prendono le mosse le varie declinazioni e applicazioni. Ma per capire ancora meglio l’approccio differenziante del loro storytelling, è utile confrontare le brand identity di altri eventi simili, come i rinomati festival del cinema europei di Cannes e Venezia. Le identità di ogni edizione della kermesse d’oltralpe sono sempre sviluppate a partire da immagini di film o personalità che hanno fatto la storia. Ad esempio, il poster del 2016 riprendeva una scena de Il Disprezzo (1963) di Jean-Luc Godard, con Michel Piccoli che sale le scale di Casa Malaparte a Capri. A Venezia, in contrasto, si affidano da anni alle illustrazioni di Lorenzo Mattotti. Cannes celebra il cinema attingendo al canone storico, mentre Venezia adotta un approccio più obliquo attraverso immagini che, pur essendo evocative del cinema, sono realizzate in un medium diverso.
È la conseguenza di una strategia ben precisa. È un processo di personalizzazione di un brand che, paradossalmente, si attiva attraverso la sua spersonalizzazione. Lo spiegano meglio le note stampa del progetto, in cui si accenna alla volontà di sviluppare un tono di voce assimilabile a un “narratore del nostro tempo” (Narrator of Our Now), un’entità imparziale che si muove con agilità tra opere e voci provenienti dai contesti più disparati, tra il pubblico e l’industria cinematografica. Se il Sundance ha fama storica di supportare e promuovere il cinema indipendente, il nuovo rebranding punta a raccontare esattamente questo.
Non è un caso, quindi, che il nuovo logo consista in un elemento tecnico apparentemente vuoto come l’aspect ratio cinematografico. È l’esatto opposto dell’approccio Cannes: non ci sono immagini che creano precedenti (e quindi, indirettamente, confronti e comparazioni), ma è uno spazio vuoto pronto ad accogliere e celebrare le visioni dei nuovi talenti. In un’epoca in cui il mainstream e le franchise rischiano di soffocare le voci del cinema autoriale (sia dal punto di vista creativo, sia dal punto di vista puramente pratico delle sale occupate), il Sundance Film Festival invita a tenere gli occhi puntati sul cinema indipendente. Con l’evoluzione del cinema, si evolverà anche l’identità del festival. E mentre gli artisti si spingono oltre i confini dello storytelling, il Sundance continuerà a mostrare il loro lavoro al mondo, con una nuova brand identity pensata appositamente per tenere il passo.