Tra il dire e il fare
Modera un workshop e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita — Confucio
di Stefano Panini
Più che Confucio, ero confuso ma lasciami spiegare.
Tra gennaio e febbraio ho moderato 8 workshop, tutti molto diversi per finalità e modalità. Così tanto diversi da chiedermi che cosa fosse davvero un workshop e perché ne stessi diventando così ossessionato.
Chiariamo prima cosa NON è un workshop.
Un workshop non è l’insieme di tanti post-it colorati. Non è un orologio minaccioso sul tavolo a segnare il tempo che manca. Non un brainstorming. Non è nemmeno lavorare in una sala conferenze di un hotel un po’ fuori città con mobili di legno e moquette rossa. Non è niente di tutto questo, ma può essere anche questo.
Quindi, che cosa è un workshop?
Sto per dire una cosa forte:
I workshop salveranno le agenzie.
Un workshop è l’ultimo — e forse l’unico — strumento utile per recuperare il rapporto (vero, sano e di valore) tra agenzia e azienda, e viceversa. Un workshop elimina il concetto committente vs fornitore, annulla i feedback poco chiari, diminuisce i tempi, abbatte le barriere. Un workshop fa queste, e tantissime altre cose. Per questo è maledettamente difficile organizzarne uno. Serve senso del tempo, della misura e dell’umorismo. Serve sintesi. E poi sintesi della sintesi. Un workshop non è un gioco, è un lavoro dannatamente serio. Programmazione e precisione. Disegnare e moderare un workshop richiede saper mettere i puntini sulle i, precisamente queste tre: informazione, ispirazione e intrattenimento.
Non è facile, ma ne vale la pena.
Per trovare la ricetta giusta ho provato 8 varianti diverse in 3 mesi e… non ho trovato la ricetta definitiva. Ma qualche consiglio per avvicinarsi forse sì.
1. Fai i compiti a casa
Un workshop fatto bene è per il 50% improvvisazione. E se improvvisi per la metà del tempo sicuramente sbaglierai qualcosa. Essere in cerchio in una stanza vestiti in maniera informale e con dei post-it in mano non deve legittimare un atteggiamento superficiale e libertino. Hanno pagato per lavorare, non per avere una scusa per non rispondere alla mail quel giorno. Sii il più studiato della stanza. Preparati. E dopo — ma solo dopo — puoi divertirti. Fai i compiti a casa. Per prima cosa chiediti: chi sono e quale sfida stanno affrontando le persone che ho di fronte?
2. Chiamali per nome
A proposito di arrivare preparati: impara i nomi di chi sarà con te e memorizza le loro facce. Il giro di nomi che farete come primo esercizio ice-breaker servirà solo per ripassare. Chiamare da subito le persone con il loro nome è la cosa migliore che puoi fare per annullare le barriere ed eliminare la tensione iniziale. Si stupiranno, e non c’è cosa più bella che stupire degli sconosciuti. Hai 6 ore per aiutare delle persone a lavorare e partire sapendo come si chiamano è il minimo che tu possa fare. Chiamali per nome e crea da subito un rapporto paritetico di fiducia.
3. Falli parlare
Non ho mai lavorato in azienda ma credo di aver capito una cosa: dentro le aziende non si parla. È come la promo Vodafone del 2007 con 50 SMS e 100 minuti al mese, ma IRL. Forse esagero, ma c’è una grande verità di fondo: per moltissime persone che lavorano in azienda stare ore senza computer e confrontarsi su presente-passato-futuro di quello che fanno con altri colleghi è fantascienza. Farsi sentire, scambiare un’opinione con qualcuno di un altro reparto, concedere il fianco a critiche dai pari livello. Per molti tutto questo è la Luna e tu sei quello che guida l’astronave. Stai in silenzio, guida e falli parlare tra di loro. Stai pronto a mettere in discussione la scaletta della giornata e tutti gli esercizi che hai preparato se il dibattito si fa interessante. Loro non avranno altri momenti per parlare, tu sì. Attenzione però a non lasciargli troppo spazio, soprattutto se il dibattito è inutile rumore di fondo. In quel caso prendi di nuovo il comando. Sei tu alla guida. Portali sulla Luna attenendoti al piano. Oppure fatti trascinare senza sensi di colpa.
4. Trova gli underdog
In un tavolo di più di 5 persone c’è sempre qualcuno che prenderà la parola per primo e difficilmente la cederà. Nel 90% dei casi sarà il CEO o la persona con l’etichetta più alta. Lui o lei non ti interessa. Non perché non sia intelligente quello che ha da dire, ma perché quello che pensa già lo sai o troverà il modo di ribadirlo forte e chiaro nei giorni successivi. Spesso le cose utili, vere e profonde si nascondono in altre teste. Ricordati il punto numero 2 e coinvolgili tutti, anche se all’inizio faranno resistenza. Sforzati di chiedere pareri agli underdog: se sono lì un motivo ci sarà. Se quello che dice il capo fosse davvero giusto non dovresti organizzare un workshop. Trova gli underdog, coinvolgili e vai in profondità.
5. Chiarisci l’obiettivo
L’ultimo consiglio è la prima cosa da fare. Lo tengo alla fine perché così te lo ricordi, essendo il più importante. Chiediti perché siete lì. Fissa l’obiettivo. Un workshop può avere miliardi di finalità diverse: scrivere un brief, trovare nuove idee, presentare una proposta, fare pace con il marketing manager, prendere tempo e persino perdere tempo. Vale tutto: basta chiarirlo prima. E, credetemi, è la cosa più difficile da fare. Con quale output vogliamo uscire da qui? A cosa servono, davvero, queste ore di lavoro? Definire un obiettivo e chiarirlo ad alta voce durante il workshop sarà la tua bussola, soprattutto quando le cose non andranno come pianificato. E, credimi, non lo faranno. Chiediti: perché siamo qui?
Eccoli qua, 5 consigli per avvicinarsi al workshop perfetto. Testateli, modificateli e aggiungetene altri perché tutti i workshop felici sono uguali, ma ogni workshop infelice è infelice a modo suo.
Esercitatevi.
Divertitevi seriamente.
Studiate un gioco.
Ma giocate ad armi pari.
L’etimologia di workshop deriva da work (lavoro) e shop (bottega). E in una bottega tutti mettono le mani in pasta. Nessuno escluso. In una bottega non esiste gerarchia: tutti lavorano allo stesso piano. Basta averne uno.